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Written by: Forum

L’Italia non vuole più essere brutale

L’Italia non vuole più essere brutale

Desidero alimentare il dibattito stimolato da questo Giornale nel numero di gennaio con la pubblicazione dell’inchiesta sullo stato delle carceri in Italia e sul ruolo che dovrebbe avere la loro progettazione.
Chi ha letto la trilogia di Stieg Larsson avrà colto l’immagine del carcere in cui il protagonista si reca autonomamente soggiornando in una camera dove lavora alla stesura del libro. Testimonia una civiltà in cui la routine quotidiana del carcere ricorda la vita degli ostelli, mentre da noi è degrado, sovraffollamento, scarse condizioni igieniche, convivenza precaria, costi passivi per la collettività. Una situazione difficile non solo per il detenuto, ma anche per gli operatori che con lui dividono spazi e non poche sofferenze.Eppure i mezzi ci sono. Il testo sull’ordinamento penitenziario (dpr 230/2000) è uno strumento innovativo che pone l’accento sugli spazi e sulla qualità del trattamento ai soggetti «ospiti» e prevede «interventi diretti a sostenere i loro interessi umani, culturali e professionali». Tali contenuti hanno spinto l’Amministrazione penitenziaria a bandire nel 2001 un concorso d’idee, svolto durante un cambio di governo, per un prototipo d’istituto di media sicurezza a trattamento penitenziario qualificato della capienza di 200 posti detentivi. In poco tempo la spinta innovativa ha lasciato spazio a un inasprimento culturale, matrice della cronaca quotidiana dove l’emergenza carcere, spesso crudamente descritta con numeri (capacità delle strutture, ospiti effettivi, suicidi) si manifesta in tutta la sua brutalità. Un pizzico di utopia è necessaria per un tema tanto complesso. Per questo, nell’occasione del concorso, abbiamo costituito un gruppo interdisciplinare, guidato dal sottoscritto, per dare una forma architettonica e proporre un nuovo modello di aggregazione sociale, spunto di riflessione sul più ampio senso della pena. Il progetto «La città ristretta 2001», primo premio ex aequo, propone un prototipo d’istituto che prevede un ruolo attivo degli ospiti nella gestione complessiva. Basandosi sul principio organizzativo del sistema urbano, la proposta affronta la qualità degli spazi per la vita individuale e collettiva (la camera, i colloqui, i nuovi giunti, le aree verdi). Si propone un ordine spaziale nel quale sia possibile ritrovare un ruolo sociale per ciascuno (la formazione e la cultura, la produzione artigianale e agricola, la manutenzione) come in un villaggio, dove le risorse impiegate sono quelle prodotte e disponibili. Se vogliamo affrontare il tema del carcere si dovrà provare a colmare la distanza tra chi sta dentro e chi sta fuori. Come ha scritto Adriano Sofri: «Chi fa dei grandi discorsi e non si occupa della carta igienica e del detersivo è una persona poco utile per chi veramente vive in quella situazione». Ma poco utile è anche parlare di tipologie edilizie o auspicare ambienti interni ed esterni cromaticamente e materialmente variati e stimolanti prendendo a modello esempi stranieri senza comprendere lo strato culturale nei quali si collocano.
Si tratta di un ribaltamento del piano, poiché si aspira a una normalità fatta di diritti e doveri, di spazi per il soggiorno ma anche d’impegno lavorativo, che oggi appare un’utopia. Per questo è importante il progetto, il lavoro interdisciplinare, la dimensione del concorso, perché solo con lo scambio di sogni si potranno ottenere risultati necessari per misurare il livello di civiltà del nostro Paese.
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Last modified: 20 Luglio 2015